Ad ogni Vertice europeo si concentrano le ambizioni strategiche dei leaders europei, nell'intento comune e nella convinzione che si possa agire insieme per tracciare una direzione e stabilire di conseguenza una tabella di marcia.
Non da sempre. La data spartiacque nella configurazione di due livelli nel processo di integrazione europea, quello strategico e quello operativo, è l'inizio del terzo millennio, quando la Commissione europea, allora sotto la guida di Romano Prodi, adottò per la prima volta un documento strategico con una visione a dieci anni, che si volle chiamare Strategia di Lisbona e di fatto segnò l'ingresso anche dell'Europa nell'era del digitale.
E così via, sulla base dell'assunto che istituzioni avvedute e ben governate fossero in grado da allora in poi di anticipare lo sviluppo degli eventi, regola d'oro per mantenere la competitività sulla scena globale.
In realtà, con il classico senno di poi, si può affermare che il terzo millennio segna il progressivo arretramento del continente europeo nell'arena della competizione mondiale, troppo lento e articolato al confronto di paesi come la Cina e non solo, rimasti sino ad allora nel cono d'ombra della storia. Il connubio impensabile tra capitalismo e variegate declinazioni di centralismo statale hanno fatto da formidabili incubatori dell'ascesa economica.
In Europa ci siamo raccontati una storia diversa: quella della civiltà democratica e liberale , che ha in sè la forza di irradiarsi e contagiare il resto del mondo. Pazienza per le tante contraddizioni al suo interno, in primis quella di 28 ( e poi 27) stati membri che si mostrano incapaci, nel nome delle rispettive dviersità, di formare un continente unito, e non si accorge cjhe così facendo si avvia ad un confronto impari con il Golia asiatico.
Oggi, le ambizioni visionarie riguardo al futuro sono completamente sepolte dal passo violento della storia, che d'improvviso ha preso a camminare troppo in fretta per le possibilità di un continente, non a caso definito vecchio, di starle dietro.
E dunque, a Bruxelles domani i 27 capi di stato e di governo resteranno inchiodati alle proprie sedie a lungo, con ogni probabilità, per un'agenda dei lavori che si riassume in un dilemma di fondo: che fare a cose già fatte?
Negli anni recenti una spinta forte verso il futuro, oggetto allo stesso tempo di contrasti interni, è stata data dall'urgenza di far fronte ai nodi epocali nel cammino dell'umanità, rappresentati dai cambiamenti climatici e dalle innovazioni tecnologiche radicali, quali l'intelligenza artificiale.
Oggi il punto di fuga del disegno europeo è il riarmo, da cui ci si attende sicurezza, sviluppo economico e affratellamento nel nome della comune necessità di difendersi dai lupi e dagli orsi. E' davvero una curiosa metafora che al summit del G7 in Canada la scorsa settimana, i leaders si siano ritrovati in una località protetta da una cintura serrata di trappole contro gli orsi, che poi sarebbero i frequentatori abituali della zona.
Però si vive anche di speranza. Il differenziale tra la paura e la speranza sarà la misura della nuova Europa che inevitabilmente dovrà (ri)sorgere dal nuovo (dis)ordine mondiale.
CLS