All'Assemblea Generale delle nazioni Unite non si trova l'accordo per imporre la pace ai troppi conflitti in atto, ma almeno si è raggiunta l'unità d'intenti per combattere il killer silenzioso responsabile, in maniera diretta e indiretta, nel solo 2021 della morte di quasi 6 milioni di persone: la resistenza agli antibiotici.
Contestualmente l'Alto Rappresentante per la Politica Estera Borrell ribattezzava il massimo organo dell'ONU a presidio della pace mondiale, definendolo Consiglio di Insicurezza. Chiamare le cose con il proprio nome obbliga a riconoscerne la verità di fondo. A nulla infatti, per ora, è valsa la richiesta congiunta da parte della UE ed altri 11 paesi, tra cui Emirati Arabi, Arabia Saudita e Quatar, per un cessate il fuoco in Libano.
Due minacce esistenziali, una invisibile, l'altra sotto i riflettori dei media di tutto il mondo interrogano sul futuro della governance mondiale, da più parti auspicato per far fronte alle autentiche sfide comuni: l'ambiente e la salute, del resto strettamente connesse.
Resta fuori, invece, l'utopia a lungo coltivata sulle ceneri della seconda guerra mondiale che mettendo insieme, allo stesso tavolo, i king/queenmakers del mondo servisse a frenarne le derive espansionistiche.
Oggi quell'architettura piramidale è messa in discussione non nel nome di un principio di democrazia paritaria, ma perchè i c.d. grandi della terra , o almeno alcuni di essi, vogliono di nuovo spartirsi il mondo.
E l'Europa che farà?
CLS
La prima volta che lo ha fatto in forma partecipata è stato con la Conferenza sul Futuro dell'Europa nel 2021, che avrebbe dovuto essere un grande esercizio di democrazia prospettica, capace di aprirsi al cambiamento e di ascoltare i suoi cittadini. In realtà, considerandola a due anni dalla sua conclusione, si è dimostrata poco più di un'esercitazione in grande stile che, sebbene la minaccia del nemico si sia già fatta avanti, non riesce a tradursi in una concreta mobilitazione.
Oggi, all'inizio di una legislatura e di un nuovo ciclo istituzionale con il rinnovo di tutte le cariche europee, si moltiplicano le voci nel deserto che invano annunciano la necessità di un cambiamento radicale, pena la fine della stessa Europa.
Perché? Contraddizioni interne, mancanza di coesione, frammentazione politica? Le ricette per recuperare competitività o per aumentare le capacità di difesa e l'autonomia strategica sono sul tavolo, ma rischiano di finire nel cassetto.
Osservando i fatti nella loro evidenza si constata che l'Europa ha fallito o sta fallendo nella missione di stare come torre ferma, baluardo di pace sferzato dai venti di guerra che soffiano da più direzioni. E invece così non è stato.
Manca una visione europea di pace, perchè mancano ponti con quel resto del mondo, di spropositate dimensioni, che affrancatosi dal giogo coloniale, oggi si riversa ai confini dell'Europa in cerca di un futuro. e l'Europa che fa? Si organizza per "intercettare" quella massa scomposta di umanità in fuga e rispedirla indietro. In questo modo i tanri canali di sostegno finanziario ai paesi in via di sviluppo, in particolare dell'Africa, e le tante iniziative per stabilire relazioni di collaborazione vengono ad essere ricoperte dalla rappresentazione distorta e infamante di un continente vecchio, ricco e indifferente; paradigma di una nuova forma di colonialismo.
Si corre ai ripari. Si moltiplicano le dichiarazioni di una cooperazione alla pari, win-win, per non dover ammettere che oggi siamo noi, i ricchi europei, ad avere bisogno delle materie prime critiche custodite nella cassaforte africana.
Siamo alla vigilia di cambiamenti, chissà se radicali o tali da accelerare le più pessimistiche visioni del futuro.
CLS
A primo sguardo si è portati ad apprezzare quella che è l'altra faccia della medaglia quando si parla di immigrazione. Non soltanto un progressivo scivolamento verso politiche di chiusura e respingimento, talché si parla oggi di Europa fortezza, ma anche la lodevole volontà di stabilire con i paesi terzi dei partenariati per consentire l'ingresso di talenti in linea con i bisogni del mercato del lavoro europeo.
A tale logica risponde il programma "Sostenere un partenariato per le competenze con il Bangladesh", lanciato ieri.
Eppure qualcosa stona, in questo quadro. Sarà perchè le encicliche papali degli ultimi anno tante volte ci hanno messo di fronte al dramma della cultura dello scarto che avvelena le nostre società, fatto sta che proprio non si riesce a mettere a confronto, da un lato la ricerca di talenti da "rubare" ai paesi terzi, venendo tuttavia incontro ad un legittimo desiderio di tante persone di cercare una vita migliore altrove mettendo a frutto le proprie competenze, con la benedizione dei rispettivi governi, e il modello Ruanda, o Albania se preferite, sempre più sdoganato a livello europeo e non più di singoli stati, per risolvere il probelma ingombrante di quanti giungono in Europa non invitati e per nulla graditi a causa della condizione di povertà economica e formativa.
Cosa altro è tutto questo se non cultura dello scarto? Salvo non nascondere la polvere sotto il tappeto, come fatto fionora nei centri di detenzione e vari hotspot, ma spostare lo smaltimento degli scarti oltre le frontiere della UE, anche il più lontano possibile, se necessario.
Tanto sono solo esseri umani.
CLS
Dovendo ragionare sul futuro dell'Europa, come da tempo si va ragionando in Europa, può capitare di rimpiangere di non averlo fatto prima, perchè ora tutto appare più difficile. Dinanzi alle incognite del tempo presente, infatti, si rischia che il disorientamento acuisca le divisioni sempre all'opera nel processo di integrazione europea. Quanto sta accadendo nel mondo, in più parti del mondo, è sotto gli occhi di tutti; ma come debba concretamente reagire l'Europa è nella mente di pochi.
Di certo al Vertice europeo che si svolgerà domani a Bruxelles se ne parlerà, sotto diverse angolazioni. Su tutte il tema della competitività economica. L'Europa, spiegata con concetti che non vogliono banalizzare ma recuperare una visione d'insieme, si trova ad affrontare un mondo in guerra, e incomincia seriamente a chiedersi come farà a restare in sella se ile servono tanti soldi per una difesa comune e se le regole in materia di commercio mondiale non la proteggono più come un tempo dagli appetiti smodati dei grandi competitor quali Cina, Stati Uniti, Russia. In altre parole, come restare a galla in mezzo agli squali.
In questi anni siamo stati fiduciosi e orgogliosi della bandiera europea che sventola gagliarda sul cammino dell'umonaità verso un futuro sostenibile e non più votato all'autodistruzione. La condivisione tra i 27 stati membri di obiettivi climatici così ambiziosi , per cui al 2050 l'Europa intende essere la prima economia a zero emissioni, si sta sgretolando dinanzi alle proteste generalizzate di agrioltori, industriali, proprietari di case e via dicendo; e sta cedendo ancor più alla paura di doversi difendere e non sapere come. Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno e l'industria, ha stimato in 100 miliardi il fabbisogno dell'industria della difesa europea nei prossimi anni. Nelle sue parole si intravede lo spettro, nel caso di una rielezione di Trump alla Casa Bianca, di una possibile intesa "non convenzionale" tra gli Stati Uniti e la Russia di Putin, a scapito della Nato, dell'Ucraina e dell'Europa tutta. Interessi che vanno oltre la dinamica tra grandi potenze e e sfociano nel puro e semplice imperialismo autoreferenziale.
Eppure l'Europa è il frutto della caduta degli imperialismi e dei totalitarismi e di una forza nuova che è stata la pace. Non quella post bellica semplicemente, ma quella voluta e costruita con pazienza e tenacia da menti e cuori visionari. Se tutti gli europei sapessero fare appello a quella forza e testimoniarla a quanti oggi in tutto il mondo vi aspiranocon la stessa determinazione a dare tutto pur di averla, la follia della guerra troverebbe la sua giusta condanna.
Clotilde Lombardi Satriani
L'Unione Europea, a livello di ministri degli Esteri, ragiona sulla guerra in Ucraina e lo farà ancora una volta lunedì 18 marzo, alla vigilia di un Vertice dei Capi di stato e di gioverno della UE che è già stato ribatezzato il Consiglio di guerra e che avrà luogo il prossimo 21 marzo. Il lavoro svolto in questi mesi in seno ai comitati per la cooperazione tra i governi, meglio noti come Coreper, consente di portare in dote il consenso dell'Ungheria allo stanziamento di 5 miliardi in aiuti militari all'Ucraina attraverso lo strumento creato ad hoc della European Peace Facility.
La parola che risuona nelle dichiarazioni di chi ha condotto le trattative è " a lungo termine"; vuol dire reperire le risorse finanziarie per dare un supporto anche militare all'Ucraina a lungo termine, appunto, senza il rischio di rincorrere l'irrefrenabile prosciugamento degli stock di armi e munizioni a disposizione.
Va bene a lungo termine, ma fino a quando?
La tanta temuta escalation c'è già stata, a guardare bene, ed è di natura antropologica. Avivene quando un organismo muta radicalmente essenza, spinto dalle circostanze ma per propria volontà. E' più che un semplice adattamento. Ora l'Europa nel giro di due anni ha deciso in progressione: di essere dalla parte dell'Ucraina; di sostenerla militarmente; almeno in linea di principio di farla entrare nella UE; di riarmarsi in una logica , " a lungo termine", autarchica, cioè a prescidnere dall'onnipresenza degli Stati Uniti in materia di sicurezza e difesa; e infine, fors'anco di inviare soldati sul campo.
Ecco perché in tanti, a cominciare dal Papa, si chiedono: fino a quando? E' certo che se il Green Deal costa tanto in termini di riconversione dell'industria e dell'agricoltura, potenziare l'industria della difesa europea invece promette solo ritorni economici in grande abbandonanza.
Non è certo l'Europa che avevano sognato i Padri fondatori. Ma spiegare la pace a chi non ha vissuto la guerra, nell'era dei social, può essere impresa ardua; ed è più facile mobilitarsi per la causa di un popolo che chiedersi che tipo di Europa vogliamo davvero. E' più facile urlare slogan che comprendere che se uno stato fornisce armi ad un paese terzo, di cui si è stabilito il bisogno di un aiuto militare, ma non lo faccio attraverso il filtro dell'Europa bensì di mia iniziativa, per poi andare a compensare in termini di soldi da versare e soldi da farmi rimborsare, è proprio l'idea di Europa che viene a risentirne.
Parleremo tanto di elezioni europee nei prossimi due mesi, ma intanto l'Europa brucia a sud e ad est. Fino a quando?
CLS
Dunque, il dado è tratto. Due anni di guerra, e forse una transizione verde che si è rivelata cammino arduo e insidioso per i i costi sociali e produttivi di interi settori, hanno definitivamente spinto l'Europa a ridisegnare il futuro secondo linee inimmaginabili soltanto alcuni fa: un panorama prolifico e minaccioso di armi, ma , sia ben chiaro, made in Europe.
E' strano, ma su tutto regna una grande ipocrisia. Nel manifesto adottato dal Partito Popolare Europeo in vista delle fatidiche elezioni europee si parla dei valori comuni e di una cultura giudaico- cristiana condivisa. Come perfetti sepolcri imbiancati, i politici del PPE dimenticano che proprio il massimo rappresentante del cristianesimo, Papa Francesco, ricorda al mondo intero che la radice del male è nella produzione di armi, perché, come diceva don Giussani, se produci migliaia di armi prima o poi qualcuno le userà.
Ma l'Europa ha paura. Ha paura del nemico esterno, che si chiama Russia e forse Cina, ed ha paura del nemico interno, di quell'odio neanche più tanto strisciante che inquina la sua linfa vitale e che si manifesta con episodi di intolleranza verso chi è debole, verso chi è diverso, verso chi da sempre è stato l'uno e l'altro ossia perseguitato a causa della sua diversità. Lo scorso dicembre la Commissione europea e l'Alto Rappresentante per la sicurezza e la politica estera hanno adottato una comunicazione congiunta, dal titolo " Nessuno spazio per l'odio in un'Europa che, unita, lo ripudia". Dopo lo scempio dell'odio di Stato del secolo scorso oggi constatiamo che esiste un odio anti-stato, semplice chiamarlo populismo, ma è molto di più. Comunque è in primo luogo odio.
L'Europa reagisce nella misura in cui può: immaginando di trasformare in prodotto economico un principio sfuggente, come la paura. E allora occorre chiedersi: basterà la paura a rendere i cittadini europei consenzienti alla nuova Europa che si profila all'orizzonte? E se è vero che se produci armi qualcuno prima o poi dovrà usarle, chi in Europa è disposto ad andare in guerra?
Il nuovo codice Schengen, che presto entrerà in vigore dopo che Parlamento e Consiglio hanno trovato l’accordo, è il consolidamento di un processo di progressiva chiusura delle frontiere esterne dell’Europa, sia pure limitatamente al fenomeno della immigrazione c.d. irregolare o in circostanze di emergenza quali le pandemie.
Letta nelle sue implicazioni, sul piano della dignità dell’uomo in quanto tale, il cambio di passo dell’Europa lascia intendere in realtà tutt’altro: anche le persone , al pari delle merci, devono essere regolamentate quando entrano in Europa e se questo non è possibile perché vi accedono per vie illegali, allora l’unica soluzione eletta dagli Stati membri e dalla Commissione è quella dell'inasprimento dei controlli e delle misure di repressione, quali I rimpatri accelerati e forzati.
Invece, gli agricoltori europei lamentano l’ingresso, quello sì legale in base agli accordi di libero scambio, di beni agricoli che vanno ad intaccare, pur con qualità scadente ma forti di prezzi più bassi, la loro stessa esistenza sul mercato.
Quello che non si mette in evidenza è che esiste tuttavia un nesso tra I due fenomeni. Infatti gli accordi di libero scambio sono stati per anni la vera arma geopolitca dell’UE, capace di condizionare le relazioni con I paesi extra UE, imponendo loro, in cambio delle agevolazioni tariffarie, il rispetto di una serie di condizioni nel campo dei diritti umani, sociali ed ambientali.
Oggi la Tunisia è tra i paesi di partenza delle masse di uomini e donne in cerca della loro terra promessa. Ma la Tunisia , protagonista negli scorsi anni di un’illusoria rinascita democratica durante il periodo delle c.d. primavere arabe, venne fatta oggetto di particolare attenzione da parte dell’Unione Europea, che proprio per incoraggiarne la difficile transizione verso forme di governo più democratiche, abolì nel 2016 una serie di dazi, tra cui quelli sull’olio d’oliva, principale produzione di quel paese.
Le conseguenze di tale politica sui nostri agricoltori, e non certo sugli agricoltori olandesi o tedeschi, le conosciamo bene, come pure è accaduto con le arance del Marocco.
Sforzi anche generosi, ma che si sono rivelati inutili, sostituiti di recente da nuove promesse economiche in cambio dell’impegno da parte della Tunisia di impedire le partenze dei migranti.
Ma intanto un intero settore agricolo, in particolare nelle regioni meridionali, ha subito la nefasta combinazione di xilella, siccità e concorrenza estera inarrestabile.
Il Commissario Dombrovskis ha rivendicato davanti al Parlamento Europeo un surplus di oltre 60 miliardi del settore agro-alimentare europeo, grazie agli accordi di libero scambio come quello del 2018 con il Canada.
La domanda che c’interroga tutti quando pensiamo al futuro dell’Europa è come saprà restare in piedi in un mercato mondiale che sembra voler rigettare la globalizzazione ed attuare invece politiche di protezionismo dall’esterno e di aggressione anche sleale verso l’esterno. La Cina lo ha sempre fatto, in futuro potrebbero farlo anche gli Stati Uniti se dovesse essere rieletto Trump.
CLS
Jacques Attali, teorico economico e sociale francese, scrittore, ex consigliere politico e alto funzionario pubblico, ha di recente pubblicato un libro dal titolo "Le monde, modes d'emploi" recensito nella Library Blog del Consiglio europeo. E' lo sguardo attento e preoccupato di uno storico, che disegna una parabola del comportamento umano attraverso due i secoli, a partire dalle primordiali società agricole nella culla della civiltà che era l'Oriente e poi in Cina, India, Grecia dove ad affermarsi erano i grandi imperialismi.
Attali analizza la svolta nel XI° secolo con il sorgere dell'ordine mercantile, precursore della moderna economia di mercato, dove a spingere lo sviluppo ed il progresso delle comunità locali vi è un fulcro urbano capace di dotarsi dei mezzi finanziari, militari e culturali per contraddistinguerlo come realtà autonoma. Due elementi ne caratterizzano l'esistenza: il cuore e la forma. Il primo viene ad identificarsi in successessione con le grandi città portuali da cui si governavano gli scambi commerciali con tutto il mondo, in sequenza storica: Bruges, Venezia, Anversa, Genova, Amsterdam, Londra, Boston, New York e infine Los Angele.
Oggi, nell'era contemporanea ci s'interroga con ansia dove si situerà il "decimo" cuore, se negli Stati Uniti, in Cina o in Europa. Ma lo scenario che si va profilando è un altro, ossia di una forma di espansione e dominazione senza cuore, governata non da strutture statuali ma dalle grandi imprese.
Venendo ai possibili scenari in un orizzonte 2050 Attali coglie con preoccupazione l'emergere di tre minacce gravi, potenzialmente mortali, ossia la questione climatica, l'iperconflittualità e l'artificializzazione. Se nell'immediato la questione climatica sembrebbe occupare il priòo posto, non foss'altro perchè adombra fosche minacce di desertificazioni di interi continente, anche la minaccia militare è più che mai atuale, non solo per i conflitti già in atto ma perchè lo spazio cybernetico con tutte le incongnite non preserva nulla e nessuno dalle sue conseguenze distruttive.
Infine l'artificializzazione, che non coincide soltanto con l'intelligenza artificiale, ma con quel processo per cui anche l'eesere umano potrebbe ridursi ad essere non più qualcuno ma qualcosa frutto di artefatto, all'interno deli processi di gestione di settori quali la sanità, l'educazione , l'informazione, le relazioni umane e via dicendo.
Attali si volge con sguardo disincantato calla speranza che l'umanità possa rendersi cosciente e penetrare con lucidità e consapevolezza nel proprio destino.
L'Europa ha bisogno di un'anima, diceva Jacques Delors. Ora Jacuqes Attali sembra ritrovare l'eco di quelle parole e rilanciarle più forti che mai.
Clotilde Lombardi Satriani
La vita oltre il male. Così Irene Shashar, sopravvissuta del ghetto di Varsavia, si è rivolta ai deputati in plenaria a Bruxelles per commemorare la Giornata internazionale della memoria dell'Olocausto.
Anche nelle assemblee più formali, come la plenaria del Parlamento Europeo, irrompe la voce dell'umanità messa alla prova. E' successo quest'anno in occasione della Giornata della Memoria. Non una commemorazione di routine, che evoca ricordi difficili da digerire, ma ormai in qualche modo sospesi nelle maglie della storisa No, quest'anno proprio quella storia si è fatta presente, con tutta la sua assurdità.
E' così che la presenza di Irene Shashar, sopravvissuta agli orrori del nazismo a Varsavia come una "bambina nascosta dell'Olocausto", in fuga attraverso una fogna verso il lato ariano di Varsavia dove amici di sua madre li hanno aiutati, è servita a ricordare oggi, a tutta l'Europa, che la posta in gioco non è soltanto il lutto per un attentato terroristico qualunque. E' qualcosa di più grave e profondo, con cui l'Europa tutta deve fare i conti, E precisamente il fatto che un conflitto di natura locale, come tanti nel resto del mondo, abbia avuto la capacità di suscitare ancora una volta l'ennesima manifestazione di intolleranza verso gli ebrei in quanto tali.
Irene Shashar vive ora in Israele. Ha detto: "Sono stata benedetta con l'opportunità di avere figli e nipoti. Ho fatto la cosa che Hitler ha cercato di prevenire così duramente. Hitler non ha vinto!”
Parlando della guerra in corso e degli attacchi terroristici del 7 ottobre, ha detto di aver lasciato il suo paese "in seguito a violenze, omicidi, stupri e terrore" e ha chiesto ai deputati al Parlamento europeo la loro solidarietà e il loro sostegno per far sì che gli ostaggi siano riuniti con le loro famiglie.
Dopo il 7 ottobre, "la rinascita dell'antisemitismo significa che l'odio del passato è ancora con noi", ha avvertito Shashar. "Gli ebrei ancora una volta non si sentono al sicuro in Europa. Dopo l'Olocausto, questo dovrebbe essere inaccettabile. ‘Mai più’ dovrebbe significare mai più.”
Riferendosi all'Europa, che ha saputo mettere da parte l’odio del passato e riunirsi, ha dichiarato che il suo sogno era che "i miei figli, tutti bambini, vivano in un Medio Oriente pacifico, libero dall'odio, specialmente verso di noi, gli ebrei. Nel mio sogno, gli ebrei trovano sicurezza ovunque scelgano di chiamare casa. E l'antisemitismo è finalmente una cosa del passato.”
Terminando il suo discorso, Shashar ha detto che mentre lei ha vinto contro Hitler, i suoi nipoti devono ancora lottare per la loro sopravvivenza. "Chiedo a voi, Parlamento d'Europa, di contribuire a realizzare il mio sogno. Insieme a voi possiamo porre fine all'antisemitismo e raggiungere una pace duratura."
Clotilde Lombardi Satriani
Nell’era del progresso, alcuni valori fondamentali dovrebbero essere talmente acquisiti da non aver bisogno di discussioni o ricerche. Uno per tutti, l’uguaglianza di genere. È tristemente noto invece che non è così, come messo in luce dalle notizie che, da tutto il mondo, riportano casi di violenze, soprusi e discriminazioni subite dalle donne, in casa, sul lavoro, nei luoghi pubblici. Ovunque. Sembra che per le donne nessun luogo sia sicuro e protetto.
Bruxelles, 4 gennaio 2016 - Piercarlo Valtorta
Inizia con il presente articolo un percorso di riflessione sul rapporto UE-Italia, resosi attuale anche alla luce delle ormai ripetute tensioni tra il premier Renzi e varie autorità dell'UE. Il percorso parte con una prima riflessione economica, che si articolerà su cinque articoli. L'offerta che si vuol fare al lettore è quella di un approfondimento, basato -pur nella limitatezza di uno scritto giornalistico- il più possibile sui dati e sui fatti.
11 gennaio 2016 - Piercarlo Valtorta
Segue la seconda parte della riflessione sul rapporto UE-Italia. L'articolo intende soprattutto riflettere lo stile che l'UE pare abbia voluto assumere a partire dal Trattato di LIsbona.ceca di definire
Bruxelles, 18 gennaio 2016 - Piercarlo Valtorta
Terzo passo della nostra riflessione sul rapporto UE-Italia. In questo caso l'articolo si concentra sulla situazione italiana, cercando di approfondire i temi di confronto-contrasto con l'UE.
Bruxelles, 25 gennaio 2016 - Piercarlo Valtorta
Quarto momento del nostro percorso di riflessione sul rapporto UE-Italia. Dopo aver considerato la situazione e gli attori in campo, può essere utile chiarire quale può essere il comune obiettivo. Quale dei due contendenti mostra di ricordare meglio che lo scopo della politica è il bene dei cittadini? E come ricorda ciò nella sua azione concreta?
Bruxelles, 1 febbraio 2016 - Piercarlo Valtorta
Con questo quinto articolo giunge al termine il nostro percorso di riflessione sugli aspetti macro , sia economici che sociali, del rapporto UE-Italia. Queste note conclusive sono, allo stesso tempo, punto di partenza per ulteriori riflessioni (vedasi la politica estera e di sicurezza, ecc) che svilupperemo nel prossimo futuro e nella stessa formula giornalistica.
30.06.2016
L’8 giugno a Strasburgo i vice presidenti della Commissione Timmermans e Mogherini hanno levato il sipario su quello che viene ancora chiamato “migration compact”, mutuandolo dal nome dell’originaria proposta italiana, ma che in realtà è giuridicamente costituito non da un unico, ma da una serie di “compacts” con alcuni paesi terzi chiave, nello specifico Etiopia, Libano, Giordania, Mali, Niger, Nigeria, Senegal, ma che mira a comprenderne altri 9. Il Consiglio europeo del 28 giugno ha per buona parte avallato la strategia, con qualche modifica significativa. In particolare gli Stati membri non hanno ancora raggiunto un accordo circa la copertura finanziaria delle nuove partnership previste.
3.07.2016
Il controverso accordo tra Turchia e Unione sul controllo della rotta balcanica ha superato ormai il primo trimestre di operatività. Molto è stato scritto su questo “patto col diavolo” che esternalizza la gestione delle frontiere appaltandola alla Turchia, in cambio di un contributo per l’attuazione di sei miliardi di euro e la ripresa dei negoziati per l’adesione all’Ue. Alcuni commentatori considerano l’accordo un potenziale strumento di ricatto nelle mani di Erdogan, che sarebbe libero di utilizzare la regolazione dei flussi come una valvola da azionare a proprio piacimento per mettere sotto scacco l’Europa in futuro su tematiche specifiche.
Bruxelles, 20 dicembre 2017
Il 20 dicembre è entrato in vigore il nuovo regolamento europeo sulla metodologia per il calcolo e l’applicazione dei dazi anti-dumping. A prima vista potrebbe apparire come una delle tante normative che Bruxelles c’impone nella convinzione di agire per il bene comune di tutti i cittadini europei. In realtà questo nuovo passo nella politica commerciale europea segna una profonda rivoluzione nel modo stesso di intendere il concetto di interesse comune